Nuova traduzione italiana di Elena Passerini
Il Manifesto si rivolge a noi, alla comunità internazionale presente e futura dei cittadini e degli scienziati, con parole scelte con estrema accuratezza da un piccolo gruppo di premi Nobel in un momento drammatico. Le parole chiave sono evidenziate in neretto e sono approfondite nella successiva News. La novità di questa traduzione italiana riguarda soprattutto la singola parola “settlement”, generalmente letta come se fosse “solution”, qui tradotta con “dirimere, comporre, patteggiare, sistemare e regolare” (tutte le questioni controverse tra gli stati). EP.
Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, noi sentiamo che gli scienziati debbano riunirsi in congresso per valutare i pericoli che sono sorti come risultato dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito della bozza allegata in conclusione.
Noi in questa occasione parliamo in quanto esseri umani, non come membri di questa o quella nazione, continente o religione, ma come membri della specie umana, la cui sopravvivenza è ora in forse. Il mondo è pieno di conflitti e la lotta titanica tra comunismo e anticomunismo mette in ombra tutti i conflitti minori.
Quasi tutti coloro che hanno una coscienza politica nutrono forti sentimenti su una o più di queste posizioni; ma noi vogliamo che voi, se ne siete capaci, mettiate da parte questi sentimenti e consideriate voi stessi soltanto in quanto membri di una specie biologica che ha avuto una storia straordinaria e di cui nessuno di noi può desiderare la scomparsa.
Cercheremo di non dire una sola parola che possa piacere a un gruppo piuttosto che a un altro. Tutti sono egualmente in pericolo e c’è speranza di poterlo evitare collettivamente se e solo se il pericolo viene compreso da tutti.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo, in una nuova direzione. Dobbiamo imparare a smettere di chiedere a noi stessi quali mosse possono essere fatte per dare la vittoria militare al gruppo che preferiamo, perché non esistono più tali mosse; la domanda che dobbiamo porre a noi stessi è: quali passi possono essere fatti per evitare una gara militare il cui esito deve essere disastroso per tutte le parti in causa?
L’opinione pubblica, e anche molti uomini in posizione di autorità, non si sono resi conto di cosa comporterebbe una guerra con bombe nucleari. L’opinione pubblica pensa ancora che si tratti dell’annientamento delle città. Si sa che le nuove bombe sono più potenti delle vecchie e che, mentre una bomba atomica potrebbe cancellare Hiroshima, una bomba H potrebbe cancellare le città più grandi, come Londra, New York e Mosca.
Senza dubbio in una guerra con bombe H grandi città verrebbero cancellate. Ma questo è uno dei disastri minori che si dovrebbero affrontare.
Se tutti gli abitanti di Londra, New York e Mosca venissero sterminati, il mondo potrebbe riprendersi dal colpo nel giro di pochi secoli. Ma noi ora sappiamo, soprattutto dopo il test di Bikini, che le bombe nucleari possono gradualmente diffondere la distruzione su un’area davvero molto più ampia rispetto a quanto si pensasse.
Si dice con molta autorità che sia possibile fabbricare una bomba che sarà 2.500 volte più potente di quella che ha distrutto Hiroshima. Una bomba di questo tipo, se esplode vicino al suolo o sott’acqua, invia particelle radioattive fino agli strati superiori dell’atmosfera. Esse gradualmente precipitano e raggiungono la superficie della terra sotto forma di polvere o pioggia mortifera. È stata questa polvere a contaminare i pescatori giapponesi e il pesce da loro pescato.
Nessuno sa quanto possano diffondersi queste particelle radioattive letali, ma le migliori autorità sono unanimi nell’affermare che una guerra con bombe H potrebbe porre fine alla razza umana. Si teme che se verranno usate molte bombe H ci sarà la morte universale – improvvisa solo per una minoranza, ma per la maggioranza una lenta tortura di malattia e disintegrazione.
Molti avvertimenti sono stati pronunciati da eminenti uomini di scienza e da autorità nella strategia militare. Nessuno di loro dirà che i risultati peggiori sono certi. Quello che dicono è che questi risultati sono possibili e nessuno può essere sicuro che non si realizzeranno. Tuttavia non abbiamo trovato che le osservazioni degli esperti su questa questione dipendano dai loro pregiudizi politici, niente affatto. Dipendono soltanto da quanto è estesa la conoscenza di ogni particolare esperto, come le nostre ricerche hanno rivelato. Abbiamo scoperto che i più foschi e pessimisti sono gli uomini che ne sanno di più.
Ecco dunque il problema che vi presentiamo, spoglio, atroce e ineludibile: Dobbiamo porre fine alla razza umana o l’umanità deve rinunciare alla guerra? La gente non affronterà questa alternativa perché abolire la guerra è difficile.
L’abolizione della guerra richiederà spiacevoli limitazioni della sovranità nazionale. Ma ciò che forse ostacola la comprensione della situazione più di ogni altra cosa è che il termine “umanità” suona vago e astratto. Le persone difficilmente immaginano che la realtà del pericolo riguarda proprio loro stessi, i loro figli e i loro nipoti, e non un fioco concetto astratto di umanità. Non riescono ad arrivare ad afferrare il concetto che il pericolo incombente di morire e agonizzare riguarda proprio loro stessi, gli individui, coloro che amano. E dunque essi sperano che forse la guerra possa avere il permesso di continuare, a patto che le armi moderne siano proibite.
Questa speranza è illusoria. Qualsiasi accordo di non utilizzo di bombe H fosse stato raggiunto in tempo di pace, non sarebbe più considerato vincolante in tempo di guerra, ed entrambe le parti si metterebbero al lavoro per produrre bombe H non appena scoppiasse la guerra, perché, se una parte producesse le bombe e l’altra no, la parte che le ha prodotte sarebbe inevitabilmente vittoriosa.
Sebbene un accordo di rinuncia alle armi nucleari nell’ambito di una riduzione generale degli armamenti non rappresenti una soluzione definitiva, servirebbe ad alcuni importanti scopi. Primo: qualsiasi accordo tra Est e Ovest è positivo nella misura in cui tende a diminuire la tensione. Secondo: l’abolizione delle armi termonucleari, se ogni parte credesse che l’altra l’ha attuata sinceramente, diminuirebbe la paura di un attacco improvviso sullo stile di Pearl Harbour, che attualmente tiene entrambe le parti in uno stato di continua apprensione. Dovremmo quindi accogliere con favore un tale accordo, anche se solo come primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale nei sentimenti, ma, come esseri umani, dobbiamo ricordare che, se le questioni tra Est e Ovest devono essere decise in un modo che possa dare una qualche soddisfazione a chiunque, comunista o anticomunista, asiatico o europeo o americano, bianco o nero, allora queste questioni non devono essere decise dalla guerra. Noi dovremmo desiderare che questo fosse ben compreso sia a Est che a Ovest.
Se lo scegliamo, c’è davanti a noi un continuo progresso in felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte, perché non possiamo dimenticare i nostri litigi? Noi, da esseri umani, lanciamo un appello agli esseri umani: Ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se voi siete capaci di fare questo, la strada è aperta verso un nuovo Paradiso; se voi non ne siete capaci, allora davanti a voi c’è il rischio della morte universale.
Risoluzione:
Invitiamo questo Congresso, e attraverso di esso gli scienziati del mondo intero e il pubblico in generale, a sottoscrivere la seguente risoluzione:
“In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale saranno certamente impiegate armi nucleari e che tali armi minacciano la sopravvivenza dell’umanità intera, sproniamo i governi del mondo a prendere atto della realtà, e a riconoscere pubblicamente, che il loro scopo non può essere perseguito per mezzo di una guerra mondiale e di conseguenza li esortiamo con urgenza a trovare mezzi pacifici per dirimere, comporre, patteggiare e regolare tutte le questioni controverse tra di loro”.
Firme:
Max Born, Percy W. Bridgman, Albert Einstein,
Leopold Infeld, Frederic Joliot-Curie, Herman J. Muller,
Linus Pauling, Cecil F. Powell, Joseph Rotblat,
Bertrand Russell, Hideki Yukawa.
Esperimento di Bikini
Il testo fa qui riferimento evidentemente alla gravissima esplosione nucleare effettuata il 1 marzo 1954 nell’atollo Bikini nell’arcipelago Marshall nell’oceano Pacifico, che aveva già subito esplosioni atomiche nel 1946, fatte in tempo di “pace” per scopi di sperimentazione militare sugli effetti delle bombe e sulle possibilità di decontaminare le navi coinvolte. Le contaminazioni radioattive furono di molto superiori a quanto previsto, arrivando a coinvolgere numerosi pescatori giapponesi lontanissimi e a lasciare tracce anche in Europa, agli antipodi. Il sito è stato riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio culturale dell’umanità. Le motivazioni e le foto sono consultabili qui. Il fatto che la parola “bikini” nel linguaggio corrente sia associato a un tipo di costume da bagno, già raffigurato al tempo dei Romani, e non invece al nome dell’atollo tuttora contaminato e inabitabile a causa di quei crimini (per i quali furono riconosciuti piccoli risarcimenti in denaro ad alcune parti danneggiate viventi all’epoca), è uno dei tanti segni dello stato confusionale della cultura corrente intorno al tema “guerra”.
Vedi anche:
Castle Bravo, Daigo Fukuryu Maru, e per i precedenti “test” del 1946, Operazione Crossroads.