Sistemare i conflitti che non hanno soluzione

Solution e settlement non sono affatto sinonimi. Proviamo a capire le differenze tra i due concetti per comprendere il senso della Risoluzione Russell Einstein pubblicata nella precedente News.
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di Elena Passerini

Invitiamo questo Congresso, e attraverso di esso gli scienziati del mondo intero e il pubblico in generale, a sottoscrivere la seguente risoluzione:

“In considerazione del fatto che in ogni futura guerra mondiale saranno certamente impiegate armi nucleari e che tali armi minacciano la sopravvivenza dell’umanità intera, noi sproniamo i governi del mondo a prendere atto della realtà, e a riconoscere pubblicamente, che il loro scopo non può essere perseguito per mezzo di una guerra mondiale e di conseguenza li esortiamo con urgenza a trovare mezzi pacifici per dirimere, comporre, patteggiare, sistemare e regolare tutte le questioni controverse tra di loro”.

Albert Einstein, Bertrand Russell e diversi premi Nobel per la Fisica e la Chimica si rivolsero anche a noi con il Manifesto del 1955. Cercarono di spronare i governi e l’opinione pubblica a riconoscere la necessità di abolire la guerra, cioè di organizzare mezzi pacifici per sistemare (non risolvere!) tutte le questioni controverse tra gli stati. Dopo 69 anni, vediamo che l’urgente invito degli scienziati è stato respinto da molti governi e non è stato compreso dall’opinione pubblica.

La nuova traduzione italiana evidenzia un problema di interpretazione del testo che è profondamente innovativo, diverso sia dalla proposta di Kant per la pace perpetua, sia dalle tecniche diplomatiche o di Comunicazione Nonviolenta.

Ricordo che stiamo parlando di Einstein, lo scienziato che rivoluzionò la visione classica della fisica aprendo orizzonti di difficile comprensione, e di Bertrand Russell, il filosofo che mandò in crisi l’intero mondo dei logici matematici nel 1902, con una riga che rivelava una contraddizione fondamentale ma non vista.

La Risoluzione proposta da Russell e Einstein, riportata sopra in italiano nella mia traduzione, contiene la parola “settlement” nella versione inglese: 

We invite this Congress, and through it the scientists of the world and the general public, to subscribe to the following resolution:

“In view of the fact that in any future world war nuclear weapons will certainly be employed, and that such weapons threaten the continued existence of mankind, we urge the governments of the world to realize, and to acknowledge publicly, that their purpose cannot be furthered by a world war, and we urge them, consequently, to find peaceful means for the settlement of all matters of dispute between them.”

“Resolution” significa decisione condivisa, vincolante sulla base della condivisione da parte di chi sceglie di attuarla perché condivide quei fini e si impegna a costruire i mezzi necessari. La Risoluzione non è una imposizione ma un impegno. Gli stati devono trovare metodi, sistemi, per the settlement dei conflitti. In italiano non c’è la parola e l’ho tradotta con 5 verbi. 

La nuova prospettiva aperta dal Manifesto prende le mosse da un fatto storico avvenuto in tempo di “pace”: il test di Bikini. Preso atto del funzionamento delle leggi della natura, fisica e biologica, correttamente interpretate dai premi Nobel, la conseguenza logica e pratica dovrebbe essere che tutti i conflitti trovino non già “soluzioni” (sarebbe impossibile), ma “settlement” senza la minaccia di guerra. La parola chiave che scelsero è settlement, non scrissero “solution”. Nella versione in tedesco è scritto schlichten, che vuol dire dirimere, appianare il conflitto, non risolverlo. Non si tratta di sinonimi, ma di due parole diverse. 

Ma qual è la differenza tra i due concetti?

Il primo significato di settlement è “insediamento”: riguarda la materialità della vita dei gruppi umani, che esplorando un territorio disabitato hanno la necessità di organizzarsi, si insediano prima di poter fondare un villaggio. Gli autori stanno dicendo che gli stati devono trovare, cioè creare, mezzi pacifici finalizzati al settlement di tutte le questioni controverse tra di loro. Non c’è scritto che tutti i conflitti debbano o possano essere risolti. Questo desiderio potrebbe essere nella mente del lettore o del traduttore, ma nel testo c’è altro, non la parola “solution”.

Il settlement è una situazione innovativa, una prima sistemazione concreta, l’organizzazione possibile di un ambiente nuovo, inesplorato. Le vecchie strutture costituite, basate sulla guerra, non possono più essere utilizzate, quindi devono essere abolite. Servono sistemi completamente nuovi nel qui e ora – cioè nell’era atomica. L’obiettivo è pragmatico, non utopistico: non si tratta di sciogliere idealmente i problemi ma di sistemare le questioni controverse di natura pratica, politica

Il settlement è la sistemazione operativa, non ideale, non perfetta, non definitiva, dei mezzi pacifici che gli stati dovrebbero trovare o creare, con la collaborazione di scienziati e cittadini. Il fine è di poter iniziare a “sistemare” le controversie con il coinvolgimento delle parti interessate in modo da permettere degli “aggiustamenti”, se non proprio dei veri “accordi”, cioè degli “arrangiamenti”, “adattamenti”, “compensazioni”, “assicurazioni” o “patteggiamenti” di vario tipo e durata. Infatti la parola settlement si trova nel dizionario in espressioni come “life settlement”, “settlement hearing”, “wage settlements”, “marriage settlement” e simili.

L’importante in questo contesto è che tale settlement escluda la preparazione e la minaccia di azioni di forza militare, cioè escluda a priori che qualche decisione possa essere affidata alla sorte delle armi, in quanto la guerra è stata preventivamente abolita, non è più permessa

L’abolizione della guerra è la premessa logica della possibilità di fare il primo passo, nel presente, per sistemare tutti i conflitti tra gli stati, sia quelli che possono essere risolti sia quelli la cui soluzione non esiste.

La “soluzione” è infatti logicamente l’ultimo passo, nel futuro, di un percorso di gestione o sistemazione di un conflitto, non certo il primo.  Sembra questo il motivo per cui, dopo la svolta di Bikini (non di Hiroshima!) Russell, Einstein e colleghi richiedono qualcosa di diverso dalla soluzione diplomatica delle controversie, che può essere impossibile. Non hanno scritto la parola “solution”. 

La soluzione del conflitto mette fine al conflitto e può essere raggiunta con mezzi diversi, anche violenti. Invece il settlement è la parte iniziale di percorsi anch’essi percorribili con mezzi diversi. 

Questo inizio troppo spesso è bloccato perché viene scelta la strada dell’imposizione di “una soluzione”decisa da qualcuno. Ma per “gli altri” quella soluzione equivale alla sconfitta e quindi alla preparazione della successiva vendetta, dando così origine a catene di guerre, interrotte da periodi di “pace” carichi di spavento, risentimento e preparazione della propaganda e della guerra successiva. 

Confondere il primo e l’ultimo passo di un percorso di elaborazione del conflitto è molto comune: da decenni si parla fin troppo di “solution”, mentre la parola “settlement” mi pare confinata a settori particolari come le banche e le assicurazioni

Dopo il test di Bikini la logica bellica mors tua vita mea non è più applicabile, la situazione atomica porta al mors tua mors mea, come ampiamente spiegato da Franco Fornari negli anni ’60 e accettato dai 122 stati del trattato TPNW.

La richiesta della Risoluzione Russell – Einstein è di creare una politica che funzioni in modo nuovo, in una direzione diversa dall’egemonia del più armato, per creare le capacità e le condizioni per poter affrontaretutti i conflitti, senza rimuoverli e senza “risolverli” con violenza. 

La scelta della parola settlement mira a superare il concetto perfezionistico di “soluzione”.

Gli scienziati scrivono “all”. Tutte le questioni controverse tra gli stati, senza alcuna eccezione, devono trovare dei luoghi, tempi e appositi “insediamenti” per entrare in un sistema disarmato, ma carico di competenze, di consapevolezza, di mezzi e metodi per percorrere una strada nuova al fine di sistemare, riorganizzare, regolare e compensare le dispute anche se la soluzione non esiste

To settle è un lavoro costruttivo, ragionevole, contestualizzato, pionieristico. Si tratta di osservare, ascoltare, descrivere, conoscere, comprendere, esplorare, assicurare, verificare, sistemare tuttele questioni controverse. 

Il concetto di pace e di “mezzi pacifici” a cui si riferiscono gli scienziati non è quello che per lo più si sogna, una situazione utopica futura. Data la consapevolezza che ciò che è in gioco è la conservazione delle condizioni biologiche per la sopravvivenza della vita umana sulla terra, l’abolizione della guerra è la precondizione che dà luogo alla necessità di trovare nuove strade per affrontare le controversie politiche qui e ora

L’obiettivo non è la vittoria futura di una o un’altra “soluzione”, ma vivere nel presente un sistema più complesso e meglio organizzato che cerca e trova settlements in cui tutti i conflitti devono essere sbrogliati e sistemati nelle modalità possibili in assenza non solo delle bombe, che sarebbe solo un primo passo e non certo “an ultimate solution”, ma del permesso che le sovranità nazionali danno a sé stesse di minacciare guerra.

Russell, quando ha scritto tutti, intendeva proprio .
Difficile?
Già. Infatti al momento sembra che sia gli stati sia l’opinione pubblica continuino a insistere sulla vecchia strada delle pericolose illusioni, basate sul rifiuto di scegliere di abolire la guerra e sull’attaccamento sentimentale alle sovranità nazionali illimitate e armate.  Quindi è necessario un ulteriore approfondimento della questione della differenza tra guerre e conflitti, parole erroneamente usate come sinonimi.